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newsletter 01 

GENNAIO 2021

Rapporto città-montagna, il vero cambio di passo è un mutamento culturale
di Alessandro Chiappanuvoli (sociologo, scrittore e reporter)


L’intervista dell’architetto Stefano Boeri, pubblicata su Repubblica e supportata poi da Massimiliano Fuksas, sulla possibilità di lasciare le città per rivitalizzare borghi montani a causa del Covid-19, ha avuto il merito, al di là dei contenuti, di portare allo scoperto un dibattito ormai vivace da anni, ma spesso tenuto sottotraccia: il futuro delle cosiddette “aree interne”. Il primo a rispondergli con una lettera è stato Marco Bussone, presidente dell’Unione dei Comuni e delle Comunità Montane, il quale, pur tendendo la mano, ha contestato l’impianto teorico di Boeri: «l’emergenza sanitaria impone nuovi modelli economici che non chiedono “alle città e alle aree montane di adottare un borgo”, bensì di trovare soluzioni sussidiarie». Dunque, basta assistenzialismo, che si instauri invece un nuovo modello di relazione e dell’essere Comunità, perché «senza una visione di insieme, non ci sarà futuro per nessuno». Ma non è soltanto la visione politica, o etica, a dover essere rimessa in discussione, quanto anche quella semantica. Come sostiene Filippo Barbera, Professore di Sociologia dei processi economici e del lavoro nel Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università degli Studi di Torino, è il momento di ridefinire i nomi degli spazi per dare loro un nuovo significato. Non dovremmo più parlare di aree “metropolitane” e “rurali”, ma di città metro-rurali, nelle quali si abbandoni un sistema antagonistico e si sposi, finalmente, una struttura di interdipendenza e di solidarietà. Pare dunque che, prima di un cambiamento politico, economico, strategico o sanitario, a essere urgente e fondante sia un cambiamento culturale, senza il quale, forse, nessuno degli altri mutamenti potrà essere davvero possibile.

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The interview with the architect Stefano Boeri, published by Reppublica in April 2020 and later supported by architect Massimiliano Fuksas, on the possibility to move out from cities and revitalize mountain villages due to Covid19, had the merit, beyond the opinions, to bring out a lively debate, ongoing for years, that is the future of “inner areas”. Marco Bussone, President of Mountain Community Union, was the first to challenge Boeri’s theoretical framework, while reaching out: “The Health emergency imposes new economic models which do not ask for the cities to adopt the inland hamlets, but requires subsidiary and supportive solutions. Therefore, it is time to get over the welfarism and find a new model of social relation, because without a global vision, there will be no future for anyone. Not only do we have to cast doubt upon the political or ethical vision, but also the semantic one. As Filippo Barbera, Professor of Economic Sociology at the CPS Department of the University of Turin, argues, it is time to rethink the definition of our spaces, giving them new meanings. We should not consider “metropolitan” and “rural” areas, but start talking about a metro-rural city, devoid of an adversarial system and based on interconnectedness and solidarity. Since then, there have been numerous articles, webinars and interventions on this topic and even though there is still no final strategic line defined, it has shed light upon the importance of the issue. It would appear that before any political, economic, strategic or healthcare shift, we urge a cultural change, without which probably, none of changes said previously will be indeed possible.

Les sinistrés de l’oubli. L’Apennin, terre de tremblements.

di Elena Fusco (fotografa)

La luna e i falò _ Cesare Pavese

consiglio di lettura

Il Club Librilli consiglia la lettura di La luna e i falò, l'ultimo romanzo del celebre autore Cesare Pavese in cui, intrecciando le tematiche a lui più care, racconta il ritorno del protagonista al suo paese d’origine. Tra le Langhe piemontesi e i suoi paesaggi rurali, il libro ci parla delle differenze tra chi ritorna e chi non se ne è mai andato.
 

«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti».

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